Col termine stretching si intendono degli esercizi atti a sciogliere una eccessiva tonicità muscolare o a dare maggior range di movimento ad una articolazione.
Ampiamente impiegato da sportivi ed atleti, è da intendersi anche come una tecnica di cura o riabilitazione nonché come una ginnastica posturale.
Esistono vari tipi di stretching, da quelli statici a quelli dinamici, da usarsi a seconda delle circostanze e delle esigenze. In generale essi consentono di mantenere in buona salute muscoli ed articolazioni, prevenendone gli infortuni ed implementandone la mobilità ed efficienza.
Sfatiamo un mito: lo stretching si fa dopo l’allenamento, non prima. Questo perché facendolo prima, specie quello statico in cui si allunga un muscolo per 15-20”, si ottiene una contro-prestazione. Vado cioè ad iper-estendere un muscolo che di lì a poco, come in una gara o durante un allenamento, sarà chiamato a contrarsi.
Prima di uno sforzo importante vanno fatti esercizi di mobilizzazione articolare, quali slanci, oscillazioni degli arti od altro, sempre però portati nel rispetto del range di movimento articolare e senza andare oltre.
Lo stretching va fatto sempre col corpo ben caldo, quindi è appunto meglio dopo l’allenamento o la gara.
Va rispettato il principio dell’allungamento e non del dolore: devo cioè sentire che il muscolo si sta allungando, fermandomi quando inizia a fare male. Il dolore mi dice che sto esagerando e la muscolatura si sta sfilacciando: sto cioè arrecando un trauma alle fibre muscolari.
Nello stretching statico l’allungamento va tenuto al massimo 15-20”. Oltre il muscolo inizia naturalmente ad accorciarsi, perché il corpo si auto-tutela: percependo un allungamento esagerato, manda al muscolo l’impulso di contrarsi, onde evitare che si iper-estenda troppo. Se vado pertanto oltre i 20”, ottengo l’effetto contrario all’obiettivo dell’allungamento.
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