Tai chi col sorriso

Il tai chi chuan, al pari di tante altre discipline marziali od arti della consapevolezza, se affrontato con modalità “troppo tradizionale” può risultare estremamente duro.

Le posizioni e le ripetizioni delle movenze, perlopiù fatte molto lentamente, possono risultare uno scoglio arduo da superare, specie nel nostro movimentato mondo occidentale dove i corsi di questa disciplina vengono, nella stragrande maggioranza dei casi, proposti in orario serale, vale a dire dopo un’intera giornata di lavoro.

Le persone dunque arrivano a questi corsi già stanche, anche mentalmente, e faticano a resistere nel lungo periodo ad allenamenti che invece richiedono un notevole dispendio di energie.

Dunque, se gli istruttori ed i maestri di tai chi non vogliono trovarsi con le palestre semivuote, cosa che ovviamente limita la diffusione della pratica ed i suoi benefici effetti sulla popolazione, devono secondo me ricorrere a dei piccoli stratagemmi per rendere le lezioni un po’ meno onerose e più accattivanti.

Senza abbandonare la tradizione, che deve sempre restare un faro in grado di direzionare l’azione dei praticanti, si può dare contenuti agli allenamenti intervallando la “rigidità” di alcuni momenti dell’insegnamento alla leggerezza ed al divertimento che queste discipline sanno portare. L’importante è riuscire a mostrare agli allievi anche il lato ludico delle arti marziali, mantenendo toni accoglienti e rilassati, portando pazienza di fronte alle difficoltà che possono emergere e (in un certo senso) “coccolando” gli allievi.

Allievi che di fatto, per essere col maestro in quella sera (o quelle sere), hanno rinunciato ad altre cose, magari uscendo in fretta dal lavoro e talvolta sostenendo anche lunghi spostamenti pur di essere a lezione. Già questo dovrebbe dare all’istruttore una grande riconoscenza verso chi ha deciso di affidarsi alle sue attenzioni.

E se l’istruttore ha questa consapevolezza, allora il sorriso non può che sbocciargli sulla bocca, anche se magari gli tocca rispiegare per la millesima volta quel passaggio che quel certo allievo proprio non riesce ad imparare.

Tanto più che l’obiettivo del maestro, sempre secondo me, non è quello di “creare” dei super praticanti, ma di far sì che ognuno a suo modo si evolva secondo i suoi parametri e le sue possibilità, uscendo dalla palestra più completo di quanto non fosse quando vi è entrato.

La pietra di paragone per valutare il lavoro fatto con gli allievi, dunque, non è paragonarli tra loro o con altri, bensì confrontare cosa sapevano fare prima e cosa riescono a fare adesso. Nella speranza che abbiano appreso ed affinato delle attitudini in grado di essergli di aiuto nella vita quotidiana e non solo agli allenamenti. Allora il tai chi diventa qualcosa di vivo, pulsante, non una pratica accademica che ci fa fare delle belle mosse davanti a qualcuno.

E se c’è questa conoscenza, non ci può che essere il sorriso. E se c’è sorriso c’è anche l’affetto: allora la pratica diventa leggera, le ore volano ed i benefici dell’antica strada non hanno limiti.