Arti marziali: il Maestro ha sempre ragione

Il maestro non ha sempre ragione. Non esiste il dogma dell’infallibilità di quello che in oriente viene chiamato “sifu“, cioè e per l’appunto maestro. Esiste tuttavia il rispetto dell’allievo per il maestro, a patto che non sia in direzione univoca ma che venga ricambiato. Viceversa, anche se un maestro ha tale titolo, esprimerebbe ben poca maestria…

Scherzosamente, è tuttavia possibile dire che il maestro non sbaglia mai, quando si parla di pratica. E un po’ di vero c’è, in questo. Quando un maestro si dimentica una parte di una forma (kata) o magari realizza qualche nuovo passaggio non contemplato (a patto che abbia senso rispetto alla tradizione), si ama dire che nel suo caso si tratta di “licenza poetica”

Non si vuole in tal modo alleggerire il proprio istruttore della responsabilità di un errore, ma solo specificare un modo diverso di intendere e valutare le arti marziali.

Se un maestro è tale, lo è perché si è applicato tanto. Ha respirato sino in fondo la pratica, ne ha fatto una seconda pelle. La pratica è divenuta lui e lui è divenuto la pratica, dando così vitalità ed immortalità agli insegnamenti spesso millenari che si celano dietro quelle discipline. Discipline che modernamente vengono spesso solo valutate secondo parametri sportivi, ma che in realtà sono vere e proprie arti vecchie quanto l’uomo e dell’uomo al servizio.

Un tale legame profondo, in sostanza, esprime una connessione del maestro con la pratica, tanto che  anche se “sbaglia” qualcosa, in realtà sta solo liberandosi di qualche schema ed attiva un processo creativo.

Ben diverso è il discorso legato agli allievi, che in quanto allievi si presume stiano ancora “studiando” e che pertanto dispongano di un livello di consapevolezza e pratica che va ancora affinato. E’ in sostanza troppo presto per loro approcciarsi alla disciplina in modo creativo, devono ancora affidarsi alla rigidità della tradizione per progredire e fare sì che dalla forma si passi alla non forma

Dalla forma alla non forma? Si. Si tratta di un concetto non semplicissimo da spiegare, ma che di fatto esprime la possibilità che la disciplina si incarni tanto in un praticante da fargli trascendere gli aspetti meramente esteriori del movimento…Tanto che l’arte diviene un essere pulsante o l’essere pulsante si trasforma in opera d’arte….