Tai chi chuan: ci vuole pazienza

Il tai chi chuan, come tutte le arti, per essere appreso richiede tanta pratica e tanta pazienza. Questo se si vuole, progressivamente, comprenderne i segreti e beneficiare dei grandi vantaggi che esso induce. Detto che è rispettabile l’atteggiamento di chi vuole praticarlo anche solo come attività “ludica”, bisogna però essere sinceri nei confronti di chi ne vuole esplorare gli anfratti più nascosti.

Rivolgendomi a queste ultime persone, più cose si apprendono e si esplorano della pratica e più ci si sente in grado di capire. E ci si accorge che quella intravista all’orizzonte, come fossimo naviganti nel mare dell’esperienza, non è un’isola, bensì un intero continente. Più si impara e più si accresce la voglia di apprendere, perché si intuisce la vastità di quella terra che intravvediamo o su cui abbiamo posato timidamente un piede.

Se vogliamo individuare un atteggiamento premiante, nello studio del tai chi come di altre discipline, ritengo sia quello della curiosità. Una curiosità però non foriera di ansia di apprendere, ma di gioia e divertimento lungo il cammino della conoscenza.

Non so quali fossero le prerogative dei Maestri del passato, ma credo che in questo nostro bizzarro terzo millennio il Maestro che sia degno di definirsi tale è un Maestro che sorride e fa sorridere. Il che non vuol dire che manchi di serietà, ma che intuisce bensì che con emozioni di piacere e rilassatezza gli allievi apprendono meglio, di più e più velocemente. E tra l’altro meno facilmente abbandonano la via dell’arte.

In un mondo che ci mette fretta, che ci mette alla prova continuamente, che esige tempi sempre meno umani, la lentezza e la bellezza del movimento armonico fatto col sorriso credo valgano più di qualunque psicoterapia.