Il tai chi chuan è come le onde del mare. In un incessante divenire, esso si espande e si contrae, continuamente, come le onde che battono sulla costa e che poco dopo si ritraggono e fuggono sotto forma di risacca.
Espansione e contrazione, maschile e femminile, yang e yin. Il tai chi chuan, un’arte marziale che nella traduzione letterale dal cinese significa grosso modo “lotta della suprema polarità”, è appunto questo: il costante fluire delle cose, il loro trasmutarsi dall’una nell’altra per poi ricominciare tutto d‘accapo.
Non importa quanto preciso sia il movimento, quanto soave sia la figura di chi lo pratica: l’importante è che tutto fluisca. Senza punti rotti, senza angoli severi. Al tai chi, perché possa essere chiamato tale, basta questo. Basta il ritmo delle onde. Che è poi lo stesso ritmo del cuore. Ma che è anche quello del respiro. E, macroscopicamente, dell’Universo.
Espansione e contrazione. Alto e basso. Interno ed esterno. Piccolo e grande.
A chi pratica tai chi basta conoscere un solo movimento. Se in quel movimento riesce a racchiudere il principio del divenire, esso varrà più di 1000 mosse fatte senza questo approccio. E se in aggiunta il movimento seguirà il ritmo del respiro, esso non avrà limiti.
Non è facile, ma è semplice. Un cuore rilassato, un cervello che si placa, un corpo flessibile. E davanti il mare, che con le sue onde dà il ritmo. Che poi il mare sia vero o solo immaginato, poco conta. L’importante è viverlo.
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