La linea della salute

La salute non è quella condizione fissa in cui siamo sempre al top. Essa assomiglia più ad una linea immaginaria a cui, quando stiamo bene, siamo mediamente vicini. A volte siamo sulla linea, a volte al di sotto, a volte al di sopra e così via.

Il nostro sistema mente-corpo si trova in un continuo divenire, in una continua oscillazione attorno a questa ipotetica linea. Se le oscillazioni sono modeste restiamo entro certi parametri di riferimento e possiamo dirci sani, quando invece queste sono troppo ampie usciamo dalla condizione ottimale. Ma non per forza vuol dire che siamo malati.

Siamo semplicemente andati un po’ troppo su od un po’ troppo giù. Pertanto, quando non siamo ancora in presenza di un problema etichettabile come malattia, non drammatizziamo. Prestiamo attenzione ed occupiamoci di noi stessi, ma non preoccupiamoci. Preoccupandoci inneschiamo involontariamente delle frequenze che remano contro la nostra possibilità di ripresa.

Innanzitutto dobbiamo dimenticare il cliché della salute come momento costante di forza, potenza, bellezza, velocità: il fatto di essere sempre prestativi, sempre belli, sempre pronti, sempre scattanti, sempre felici, sempre sorridenti è una pura finzione, messa in atto da un sistema che enfatizza solo, spesso per biechi interessi, la produttività e la velocità.

Siamo in salute anche quando siamo stanchi, quando siamo poco prestativi, quando siamo tristi o meno belli, meno scattanti o meno pronti.

Sia la velocità che la lentezza, sia la prestazione che la controprestazione, sia la forza che la debolezza sono momenti o situazioni che possono addirittura coesistere assieme nella stessa persona o succedersi in differenti momenti dell’esistenza. E’ l’alternanza della fase yin e della fase yang, che si completano e si intervallano in un costante divenire.

Quella di noi occidentali è una società yang, sempre in corsa ed espansione. Se cerchiamo di starle dietro, ci estremizziamo e diventiamo troppo yang noi stessi. Per poter continuare a correre, dobbiamo anche fermarci. Per poter continuare ad essere prestativi, dobbiamo accettare di non esserlo sempre. Per poter vincere, ammesso che questo termine abbia senso nell’accezione che mediamente gli attribuiamo, dobbiamo anche perdere.

Dovremmo accettare la naturale e santa alternanza degli opposti: quando ci sentiamo giù, quando siamo stanchi, quando siamo tristi, non pensiamo per forza che qualcosa non vada. E’ come stupirsi dell’arrivo del buio dopo che c’è stato il giorno, o del caldo dopo il freddo. Se non ci stupiamo di questo, non dobbiamo stupirci dei nostri alti e bassi. Dobbiamo solo accettarli, sorridere e coccolarci. Hanno anch’essi senso, sono anch’essi santi.