Quando il profondo emerge…

Spesso, nel linguaggio comune, si usa la frase “scendere in profondità” per sottolineare la necessità di raggiungere qualcosa che non alberga in superficie, ma che si annida nelle viscere del nostro essere. Quindi, come sub, si scende verso il basso, giù giù, nell’intimo più profondo. A cercare qualcosa che sta là sotto…nascosto, invisibile…

Ma se fosse il contrario? Se cioè, cambiando prospettiva, non fosse necessario scendere, ma solo lasciare che sia il profondo ad emergere? Che cioè la nostra vera natura possa salire su, in superficie e divenire manifesta?

Pare un cambiamento banale, ma in realtà non è da poco. Nel primo caso, se scendo devo fare qualcosa, mi devo muovere, devo insomma darmi da fare come se stessi partecipando ad una sorta di caccia al tesoro per trovare qualcosa che so esistere, ma che si cela alla mia ed altrui vista.

Invece se lascio che il profondo emerga mi ritrovo nell’inazione del santo, di colui che cioè non agisce di fatto, ma in pratica cambia il mondo. Un antico detto orientale recita appunto “il saggio non fa nulla, ma cambia il mondo”. Il significato, per certi versi criptico, diviene manifesto se cambio punto di vista.

C’è qualcosa in me, in noi, che sta provando a salire. Da sempre. Ma tutti noi, ognuno a suo modo e senza cattiveria, impediamo che questo profondo, che questa gemma ancorata nelle miniere dei nostri visceri, arrivi in superficie. E questo accade da millenni. L’uomo di oggi ragiona con schemi mentali ed emotivi vecchi quanto la sua civilizzazione.

Non lasciamo che il profondo emerga perché in qualche modo esso fa paura. Perché è eterno e spesso non collima con le convenzioni sociali, culturali e famigliari che ci vengono inculcate sin dall’infanzia. Eppure esso ha forza e vuole salire. Pensiamo dunque a quanta fatica facciamo a tenerlo giù, a quanta frustrazione subiamo per reprimere ciò che invece ci appartiene e che sta cercando di emergere per tirare finalmente una boccata d’aria, come un apneista dopo un’immersione in acque profonde.

Il saggio dunque, per ricollegarsi al proverbio citato sopra, toglie forza a questa compressione e lascia che il suo sé spirituale venga su senza sforzo, senza opposizione, senza giudizio.

Il suo sé immortale sboccia dalle profondità come un fiore, che poi diventa pianta, che poi diviene colonna capace di sostenere il cielo e di metterlo in collegamento con la terra. Esso anela a raggiungere il sole e la luce…

Si tratta di un pieno e realizzato cambio di prospettiva…che ne dite?