Come morì Lucy

Vi ricordate “Lucy“, lo scheletro di australopiteco afarensis trovato nel 1974 in Etiopia? E’ molto famoso ed è considerato uno degli anelli di congiunzione tra scimmia ed uomo. Il suo nome si deve alla canzone dei BeatlesLucy in the sky with diamonds“, che proprio in quel periodo l‘equipe che portò alla luce Lucy ascoltava di frequente.

Lo scheletro risale a 3,2 milioni di anni fa. Quanto arrivato a noi rappresenta circa il 40% delle ossa totali, che si è evinto appartenessero ad una femmina di circa 25 anni.

Studi recenti promossi dalla rivista “Nature” hanno evidenziato che la piccola ominide trapassò per le conseguenze di una caduta da (probabilmente) un albero, da un altezza di circa 12 metri.

Analizzando oltre 35.000 sezioni delle ossa con la Tac sono state riscontrate numerose fratture tipiche degli impatti ad alta velocità. Impatti assai rari in un fossile e che hanno appunto indotto gli scienziati che hanno curato il progetto a pensare ad una morte per incidente. Chiarificatrice è stata la frattura da compressione all’omero destro, che si verifica anche nell’uomo quando la mano colpisce il terreno in caduta facendo premere l’una contro l’altra le ossa della spalla.

Inoltre le ossa trovate rotte (in particolare quelle di ginocchio, bacino, caviglia) non presentano segni di riparazione, pertanto la piccola Lucy non sopravvisse al trauma.

Le ipotesi sono tante: forse si arrampicò su di un albero per cercare cibo o per avere riparo notturno dai predatori, come ancora oggi fanno gli scimpanzé. A tradirla potrebbe essere stata la sua andatura bipede: gli afarensis avevano già adottato la stazione eretta, cosa che li rendeva meno abili tra gli alberi rispetto alle scimmie che si muovono con appoggio quadrumane.